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       Poesie malinconiche, sospese, incantate eppure non c’è nostalgia. 
                  Vincenzo D’ACUNZO “Sulle rive dello Jonio” effettua una sorta 
      di “Ritorno a Kandahar”: tra realtà e sogno, visione e memoria. I suoi 
      versi ti danno, nello stesso momento, la sensazione dello sradicamento ma 
      anche di un ancestrale senso di appartenenza. 
                  Questa ambivalenza è propria di chi, pur amando i luoghi 
      descritti, non vi appartiene, inquieto e curioso, continuamente estraneo 
      ad un mondo sopravvissuto al forte desiderio di fuga e dell’abbandono. Il 
      mare, nonostante tutto, continua a dargli ascolto anche se è forte la 
      sensazione della perdita  “senza rimedio” che avvolge tutta la sua poetica 
      e affiora prepotentemente nei suoi versi. 
                  A volte 
      sembra un orologiaio muto, attaccato a marchingegni minuscoli, a rotelle e 
      lancette, con gli occhi stretti, custode di segreti perduti, sull’uscio 
      della sua bottega dove si affacciano piccoli gerani. Altre volte è come un 
      esule, andato alla deriva e alla fine approdato con la sua malmessa nave 
      sulla costa dove si infrange il mare greco. Stremato deve far ricorso alla 
      sua smembrata memoria  per ritrovare la sua infanzia e i suoi ricordi 
      più cari: memoria autobiografica, narrativa, lirismo poetico in cui si 
      susseguono considerazioni e riflessioni infantili, eventi recenti, visioni 
      oniriche. 
                  Il 
      verso è fluido, delicato.  E’ una vibrazione dell’animo depositata 
      sulla pagina come preziose tessere di un mosaico o come incommensurabili 
      pulviscoli luminosi. 
                  Rivisitazioni del ricordo, dunque, travolto dalla modernità e 
      dal consumismo, dallo spietato scorrere del tempo ma anche invito ad 
      ascoltare la sublime musica degli astri come insegnava Pitagora. Qui il 
      ritmo diventa maestoso e solenne, è l’invincibile suono del respiro del 
      mondo, l’estremo atto di umiltà, una ritualità che dà all’uomo la 
      possibilità di dialogo con il Sacro. A suo modo il poeta prega, tra la 
      gente che l’incalza, smarrito com’è sulla spiaggia alla ricerca di un 
      tempo ormai perduto per sempre.  |